Per un numero crescente di pannelli scocca l’ora il ”fine vita”. Vanno smaltiti correttamente. L'Italia ha cercato di attrezzarsi già qualche anno fa. Ora fare riferimento alla direttiva Ue 2012/19 che assimila tutti i moduli fotovoltaici venduti nel vecchio continente a rifiuti elettronici
, con relativo obbligo di programmare sin dall’installazione il conferimento per il futuro smaltimento a operatori specializzati, che a loro volta sono tenuti a ricavarne il massimo delle risorse riutilizzabili.
Oggi non tutto è chiaro, non tutto è pianificato, e il meccanismo sperimentale che abbiamo avviato già da un paio d'anni è tutt'altro che oliato. Con una consolazione però: la gran parte dei paesi europei non è messa meglio.
Tutto promette di funzionare, da noi, almeno per i pannelli installati dalla metà del 2012 in poi sulla base dei sussidi previsti dal quarto e del quinto conto energia. Pannelli che potevano e possono accedere agli incentivi solo se sin dall'inizio sono stati accompagnati da una certificazione di futuro conferimento ai consorzi di smaltimento abilitati, con il pagamento dei relativi oneri, che per la verità rappresentano tutt'altro che un salasso: tra 1 e 1,5 euro a pannello, ovvero tra 50 e 75 euro a tonnellata.
Ecco un primo problema. A gestire le regole e a coordinare il traffico dei pannelli moribondi o defunti è il Gse, il gestione dei servizi energetici. Che ha allestito pubblicato sul suo sito, nel marzo del 2013, un primo elenco degli operatori abilitati per lo smaltimento. Elenco che campeggia, ad oggi, immutato e non aggiornato. Ma il problema più grave è un altro. I pannelli installati con il quarto e quinto conto energia rappresentano poco più della metà del totale dei 18.000 megawatt di potenza solare installata nel nostro paese. La più giovane, per giunta. E quindi la più lontana dalla necessità di smaltimento alla fine di una vita operativa, stimabile in un ventennio.
Ben più vicini all’eventualità di essere correttamente trattati sono i pannelli più vecchi: lastre di vetro, plastica e silicio per oltre 8.500 MW piazzati con i meccanismi antecedenti il quarto conto energia, per i quali gli obblighi di smaltimento sono solo teoricamente stringenti in base alla direttiva Ue appena entrata in vigore, ma che possono godere nei fatti di una tripla via di fuga dagli obblighi: non hanno una certificazione che impegna al trattamento fine vita, non sono sufficientemente censiti nel territorio, gli stessi obblighi di smaltimento sono ancora oggi in una sorta di limbo normativo.
Resta il fatto che lo smaltimento del fotovoltaico può rappresentare, osservano gli analisti, non solo un dovere in nome dell'ambiente ma anche un'occasione di business legata alla riconversione del materiale ricavato. I principali operatori del settore stimano un potenziale giro d'affari di almeno 20 milioni di euro per i moduli già sicuramente soggetti all'obbligo, che però sono appunto quelli più “giovani” e dunque più lontani dal loro inevitabile funerale.
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